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sabato 30 gennaio 2016

Un filo di logica sul Family Day

Visto che il buon senso slitta sempre più a destra, tocca fare un poco di didattica di base e riprendere in mano alcuni concetti chiave, per capire su cosa si sta discutendo, e perché.
Il matrimonio è un atto amministrativo, un contratto, che ha delle finalità giuridiche, delle conseguenze istituzionali che dipendono dalle premesse per cui è istituito come contratto.
Nella sua definizione più generale e transculturale, il matrimonio è un accordo che sancisce alcuni diritti e doveri per i contraenti e per altri membri da essi legalmente dipendenti. Ci sono X e Y, i coniugi, e poi Z e K, le altre persone coinvolte dal contratto. Mentre X e Y sono necessariamente esistenti, Z e K possono essere potenziali oppure esistenti. I diritti/doveri sottoscritti da X e Y coinvolgono anche Z e K, potenziali o reali.
Tutto il problema è stabilire cosa fa di Z e K soggetti coinvolti nel contratto matrimoniale. Mentre è chiaro che X e Y sono i “protagonisti” (gli sposi) meno chiaro è definire Z e K. Ridurre la cosa a “sono i figli” è una sciocchezza doppiamente etnocentrica. Se non partiamo dall’idea che solo il nostro modello sia legittimo, e riconosciamo che altri ordinamenti giuridico-culturali possano avere altre concezioni di persone coinvolte nel matrimonio, dobbiamo intanto accettare che ci possono essere Z e K per noi impensati. In alcune tradizioni, ad esempio, i fratelli di X e Y sono immediatamente coinvolti nel contratto, al punto che un fratello/sorella potrebbe essere legalmente tenuto a rimpiazzare il defunto X o Y (è il caso del levirato ebraico, ad esempio, in cui il fratello di un morto era tenuto a sposare la cognata vedova; oppure del sororato, in cui la sorella della defunta la “rimpiazza” come sposa). Altri casi prevedono regole precise per i consuoceri, sistemi complessi di eredità tra gruppi parentali e tutta una combinatoria veramente stratificata di diritti e doveri che riconducono a più miti consigli la nostra concezione del coniugio come contratto tra DUE individui. In realtà, quella del matrimonio segreto a Las Vegas tra due perfetti sconosciuti che si sono scelti in totale autonomia individuale è una deriva estremamente recente e tutta capitalista di un’istituzione che ha tutt’altra storia sociale.
Al di là di tutte le stranezze e usanze locali, resta vero che “i figli” sono tra gli Z e i K più comuni, e sempre sono indicati nella struttura legale del contratto matrimoniale. Il secondo etnocentrismo cui accennavo, però, si rivela nella definizione di “figlio o figlia” che pensiamo debba “naturalmente” attribuirsi a Z e K.
Z e K sono “figli” di X e Y (sono cioè coinvolti nel sistema legale del matrimonio in una rete di diritti e doveri) in misura sostanzialmente indipendente dalla loro generazione biologica. Se W è figlio biologico di X e/o Y, questo non lo rende automaticamente e per tutti i sistemi giuridico-legali comparati (per tutte le culture) Z o K, cioè legalmente figlio. La genitorialità biologica consente, anche nel nostro sistema giuridico, il non riconoscimento. Senza contare la marea di padri non ignari ma intenzionalmente assenti senza alcuna conseguenza, la storia degli ospedali italiani è piena di madri anonime e di figli di m. ignota, no? Per quanto molti possano considerare disdicevole e riprovevole un comportamento del genere, è il nostro sistema giuridico (che su questo ricalca quello di tutto “l’Occidente”) a stabilire e riconoscere che si può a tutti gli effetti essere il genitore biologico di Z o K senza essere la madre (responsabile legale) o il padre (responsabile legale) di Z o K. Di converso, l’istituzione dell’adozione legale (istituzione universale, si badi bene), dice che si può essere figlio legale di X o Y senza esserne il frutto biologico. E sfido chiunque a considerare pubblicamente i figli adottivi “meno figli” dei figli biologici, cosa assolutamente inconcepibile nel nostro sistema morale, oltre che giuridico.
Insomma, dobbiamo, tutti, riconoscere alcune conseguenze di quanto abbiamo finora appurato.

1. Il matrimonio è un’istituzione sicuramente universale, che coinvolge i diritti non solo di (almeno) due individui (X e Y), ma anche di altre persone (Z e K), presenti, passate, future e potenziali, ma il matrimonio come istituzione universale nulla dice di quali siano i doveri e i diritti di X e Y verso Z e K.

2. Una cosa, però, l’istituto matrimoniale la dice chiara e tonda: che Z e K siano il frutto biologico di X e Y non è una condizione necessaria sufficiente perché Z e K accampino un diritto su X e Y o perché X e Y abbiano un dovere necessario verso Z e K. Detto in lingua corrente, avere figli biologici o aver genitori biologici non è né un diritto, né un dovere. Anzi, il sistema dei diritti e doveri dentro il matrimonio esula completamente dalla dimensione biologica (che non è una condizione necessaria né sufficiente). A fare i cavillosi, si può dire che, in effetti, un figlio nato da un matrimonio ha automaticamente dei diritti, ma di fatto l’abbandono è sempre possibile e tollerato. Per evitare azzeccarbugli, possiamo almeno dire che l’adozione garantisce che il legame biologico sia sufficiente, ma non è necessario per istituire la genitorialità.

3. Se la biologia c’entra poco o nulla, e comunque non è necessaria, non ha senso parlare di “famiglia naturale”, ossimoro perfetto, dato che “famiglia” significa proprio “costituzione di un legame sociale intenzionale in cui la biologia funziona al massimo come una condizione sufficiente tra altre, mai come una condizione necessaria e condizionante”.

4. Sono dunque gli esseri umani, non “la natura”, a stabilire quale sia la famiglia ragionevole dentro il loro sistema sociale, ma per farlo devono trarre le conseguenze di quel che stabiliscono.

5. Se la famiglia è definita (come fanno i sostenitori del Family Day) null’altro che il luogo che ratifica la capacità di riproduzione di un maschio e di una femmina, ed è solo quella che si può chiamare famiglia, benissimo, ma ne consegue che:
5a se uno dei due partner è sterile, quella non è famiglia;
5b il partner non sterile ha il diritto di ripudiare il partner sterile;
5c qualunque forma di adozione deve essere vietata perché vanifica la definizione di famiglia.

Ora, andate a dire a una coppia con una lunga e dolorosa storia di aborti spontanei che la loro, mi spiace, non è famiglia. Andate a dire a una coppia che adotta un bambino che la loro, mi spiace, non è famiglia. Andate a dire a una persona ripudiata legalmente in quanto sterile che, ahimè, il ripudio era ragionevole. Fate questo, e poi parlatemi ancora di famiglia naturale e Family Day.

Se non credete che 5a, 5b e 5c siano enunciati accettabili nel mondo in cui volete vivere voi, dovete fare i conti con 5, e ammettere che la famiglia non ratifica l’atto biologico della riproduzione, ma istituisce la volontà di genitorialità sociale. Se X e Y desiderano avere un rapporto genitoriale con K e Z (reali o in potenza), X e Y sono una famiglia (se non vogliono aver figli, sono comunque una coppia, non importa quale o quali siano i loro sessi biologici).


Rendete più facili le adozioni indipendentemente dagli orientamenti sessuali dei potenziali genitori, consentite l’adozione ai single, uscite dalla mostruosità che la genitorialità sia un diritto sancito giuridicamente su un oggetto biologico, e allora sarò felice di festeggiare con voi il Family Day. Il giorno della famiglia: il giorno in cui degli esseri umani adulti dichiarano il loro impegno a prendersi cura di altri esseri umani, più piccoli, e indifesi, e di trasmettere loro un sistema di valori in cui non conta quanti cromosomi condividi, ma quale orizzonte di aspettative, quali progetti, quale futuro.

giovedì 14 gennaio 2016

Un'antropologa fuori posto?

Fiammetta Martegani è un'antropologa milanese che però dal 2009 vive a Tel Aviv. Per scelta.
Già questo basterebbe e rendere la sua storia interessante. A Tor Vergata ci troviamo martedì 19 gennaio, in aula Moscati di Lettere, alle ore 11, per parlare con lei del suo libro Life on Mars, dove racconta di una giovane milanese che si è trasferita a Tel Aviv. Per scelta.
Per me sarà  un'occasione d'oro per discutere con le studentesse e gli studenti del rapporto tra vita, arte, e antropologia culturale. Diversamente da alcune discipline (e forse in misura maggiore di altre cui comunque somiglia sotto questo aspetto) l'antropologia culturale è intrinsecamente indisciplinata non solo perché il suo metodo è sempre orientato all'azione, non solo perché la sua epistemologia tende sempre al relativismo addirittura ontologico, ma soprattutto perché una buona antropologia ha il maledetto vizio di debordare nella vita quotidiana, nella sfera intima dei pensieri in secondo piano, nella sonnacchiosa pervasività del subconscio, somigliando così in modo imbarazzante all'oggetto che dovrebbe studiare, quella roba che ancora ci ostiniamo a chiamare cultura.
Ho il sospetto insomma, che se Fiammetta fosse stata una dottoranda di chimica, o di numismatica, quando ha scelto Israele come luogo di ricerca, la sua vita avrebbe preso non solo intellettualmente, ma anche biograficamente una direzione ben diversa. Il suo essere antropologa e il suo essere cittadina intenzionale di Tel Aviv sono due lati di un'unica medaglia. E' questo intreccio che proveremo a farci raccontare.
Lei a raccontare è brava.
E ti credo. E' un'antropologa.